Lavorare con un cane aggressivo significa guardare dentro se stessi.

Lavorare con un cane aggressivo significa guardare dentro se stessi. Può sembrare la classica frase a effetto o uno slogan pubblicitario, ma non è così. Significa spendere energie mentali, fisiche ed emotive per un percorso lungo, impegnativo e difficile, dove ogni piccola conquista non deve essere un punto di arrivo, ma un punto di partenza, nella consapevolezza che il risultato prodotto più vacillare e che a volte è necessario ripartire da zero per conquistare la fiducia del cane. Perché di questo si parla, di fiducia.

 È un viaggio dentro se stessi dove è necessaria una propria e definita consapevolezza interiore.   

Le decisioni vanno prese di pancia e di testa spesso in tempi brevi e la scelta dev’essere necessariamente quella giusta. 

 

Iniziare un percorso con un cane aggressivo richiede una solida preparazione tecnica sia nella lettura del cane, sia nell’impostazione di un percorso da svolgere. Richiede condivisione delle attività (progressi e regressioni) con le altre persone che seguono il cane, in particolare se si tratta di un cane di canile, richiede la disponibilità di almeno due persone durante lo svolgimento delle attività per ovvi motivi di sicurezza nonché, la parte fondamentale che deve essere parte integrante di tutti i fattori, richiede “presenza”.

 

 

Essere “presenti” significa avere un netto allineamento tra mente, emozioni e corpo fisico.

 

La mente deve essere chiara, limpida e senza macchia. Dev’essere addestrata all’identificazione e riconoscimento di segnali di stress o disagio del cane, di imposizione e di aggressività, interpretandone la condizione emotiva e prevedendone la reazione o il comportamento. E’ necessario essere in grado di stendere un programma di lavoro, saper utilizzare gli strumenti a disposizione, essere consapevoli dell’uso di distanze, spazi e barriere, nonché della variazione del comportamento del cane in base agli stessi. E’ importante inoltre essere a conoscenza del passato del cane quando possibile.

L’operatore deve essere in grado di neutralizzare le emozioni in modo consapevole, osservandole con distacco senza che le stesse lo pervadano. Deve essere consapevole della stabilità e solidità emotiva del cane, deve avere l’attitudine all’auto analisi e al riconoscimento della propria condizione emotiva, deve avere capacità di prendere decisioni in tempi brevi, deve annullare le aspettative sul proprio lavoro e sul cane e deve essere pienamente motivato ad eseguire il lavoro.

Il corpo fisico dell’operatore dev’essere sciolto e il tono muscolare rilassato.

 

 

Da quasi due anni, dopo esperienze in altre strutture, ho iniziato un progetto presso un canile della bergamasca per la formazione dei volontari (attività che a oggi è sospesa da qualche mese), per la diminuzione dei livelli di stress (il canile crea un enorme stress in qualsiasi cane!!) e per lo sviluppo delle competenze sociali ed emotive di cani con problematiche di aggressività verso le persone, attività che tuttora è in corso. Il lavoro in canile mi entusiasma, mi mette alla prova e rende questa “presenza” di cui sopra, assolutamente necessaria. Negli articoli precedenti scrivevo e pubblicavo con orgoglio dei video del lavoro svolto con Luna, oggi scrivo di Jack un meticcio di taglia media, un cane dichiarato irrecuperabile e per il quale è stata consigliata la soppressione da parte di veterinari esperti di comportamento. Non scrivo dei miei successi con Jack, ma di un insuccesso, se così può essere definito quello che è accaduto. Lavoro con Jack in maniera costante da circa cinque mesi, siamo passati dall’avere una rete di mezzo, a convivere nello stesso spazio in serenità senza la necessità di usare cibo o altri stratagemmi, fino ad arrivare a svolgere insieme e senza protezioni, attività di apprendimento e ricerca. In base al mio programma di lavoro era arrivato il giorno in cui dovevamo per la prima volta uscire da quella piccola area di cemento antistante i box. Il programma era questo, ma nella realtà non c’erano le condizioni. Nell’avvicinamento con il guinzaglio in mano, Jack mi ha aggredito con un’alta intensità. Il suo sguardo ha totalmente cambiato espressione, c’era il vuoto nei suoi occhi e nessun tipo di lucidità (tengo a precisare che non ho riportato grossi danni fisici). A prescindere delle caratteristiche e dei problemi più o meno accertati che può avere Jack e dalla prospettiva di vita di questo povero cane, per la quale non voglio entrare nell’argomento in questo articolo, e dall'idoneità o meno della struttura ad ospitare cani con queste caratteristiche, sono assolutamente consapevole di essere responsabile di quanto successo. 

 

Quando un cane aggredisce in quel contesto e in quella situazione, l’errore non può che essere 

dell'operatore o della persona con cui il cane lavora. 

 

Quell’allineamento e centratura di cui sopra non c’erano e il risultato è stato quanto descritto.

Ho buttato all’aria mesi di lavoro per la necessità e l’aspettativa di produrre un risultato e ho tradito la sua fiducia per aver fatto un passo troppo grande. Ecco cosa mi crea più dolore in tutta la faccenda. Non sono i pochi punti di sutura, non è il dolore fisico, è il tradimento della fiducia che fatico ad accettare e a perdonarmi, ma il passato è passato e la vita è il momento presente – Qui e Ora. Riproverò a riconquistare la sua fiducia come ho fatto negli ultimi cinque mesi, un passo e un mattoncino alla volta.

 

Quanto accaduto è una grande lezione (con un altissimo costo emotivo sia per me che per Jack) che mi servirà per il lavoro con questi cani e che voglio condividere per far si che esperienze come queste, che spesso vengono messe a tacere, non succedano più nel mio e in altri canili. Perché possa essere motivo di crescita e un aiuto concreto ad operatori che tutti i giorni si sporcano le mani nei canili e mettono a rischio la propria incolumità per dare a cani come Jack la possibilità di avere una vita (leggermente) migliore.

 

Nella mia etica professionale esiste la trasparenza, in tutto e per tutto. Continuerò a pubblicare gioie e dolori di questo mio straordinario e appassionante lavoro, perché l’evoluzione e il cambiamento trovano terreno fertile nella condivisione.

 

Federico Bettoni

5 Ottobre 2017